Immersi nel fascino marino, corsi per non vedenti di archeologia subacquea
Tratto da Corriere della Sera
L’iniziativa «ArcheoPugliAbile» in programma a Taranto. Studi, briefing ed esercitazioni, ideati dall’associazione «Asbi-Albatros-progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International».
TARANTO. Quattrocento immersioni. Fino a quaranta metri di profondità. Tra caverne, ghiacciai e relitti. E una marea (è il caso di dirlo) di brevetti conseguiti. È davvero impressionante il curriculum degli abissi di Elisabetta Franco, Tonino Tramacere, Roberto Polsinelli, Daniele Renda, Roberto Rabito e Marina Zerbin, i primi magnifici sei sub non vedenti a frequentare «ArcheoPugliAbile», primo corso di archeologia subacquea nel mondo in programma a Taranto dal 19 al 23 gennaio. Arrivano da Venezia, da Roma, da Lecce e da Bari, diretti in quella che fu la capitale della Magna Grecia, e oggi sede della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo. I sub sono pronti a cinque giorni di studi, briefing e immersioni, ideati dall’associazione «Asbi-Albatros-progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International», fondata diciassette anni fa dalla barese Angela Pinto e dedicata alla memoria di suo marito, Paolo, tra i grandi protagonisti della storia del nuoto di fondo italiano: l’avvocato delle imprese impossibili (è stato lui, nel 1979, il primo nuotatore a portare a termine l’attraversamento della Manica) amante dal mare in tutte le sua sfaccettature.
Il libro dei sogni
«Oggi si parla tanto di sostenibilità, e mio marito, in tempi non sospetti, ha realizzato delle imprese estreme, nuotando tra foche e balene, in posti lontanissimi e incontaminati», ricorda Angela Pinto, alla quale, se le si chiede perché sia stata scelta Taranto come sede di «Archeopugliabile», prima risponde in maniera ufficiale elencando tutte le bellezze archeologiche della città fondata dagli spartani, per poi ricordarsi di un collegamento molto privato, decisamente famigliare, alla Città dei due mari: «Paolo, da parte di madre, era tarantino: non gli sarebbe dispiaciuta questa scelta». Della quale fa parte Manrico Volpi, il livornese da sempre al fianco di ogni idea di «Asbi-Albatros»: è lui il supervisore degli istruttori sub, ed è sempre lui l’autore di un libro quasi magico: un riconoscitore di 116 specie marine del Mediterraneo, in formato A4 e scritto sia in caratteri ordinari che in Braille. «È il cuore della didattica di Albatros: ci serve per ricrearci una immagine fedele di ciò che andremo a toccare, dopo esserci immersi», spiega Elisabetta Franco, 50 anni, impiegata assicurativa, barese amante del mare, come tutti i suoi concittadini, e tra i primissimi corsisti, nel gennaio del 2006, delle lezioni di teoria e pratica di Asbi – Albatros-progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International.
Attori diversi
L’idea di accompagnare dei sub non vedenti sott’acqua spetta, appunto, al livornese tenace Manrico Volpi, 63 anni, il quale, nel 2005, nel corso di una giornata di studi alle isole Tremiti, in Puglia, conosce Angela Pinto. «Manrico mi fece vedere un video dove c’erano dei sub. Poi, mi disse che quei ragazzi erano dei non vedenti, accompagnati da lui, fino a dieci, venti metri di profondità. Improvvisamente è come se avessi avuto una illuminazione, ricordandomi di Paolo, mio marito – era scomparso da poco – il quale, negli ultimi tempi, nonostante fosse diventato cieco per una malattia genetica, ricordava che soltanto immergendosi nella profondità del mare aveva la sensazione di poter vedere ancora», racconta la signora Angela.
Isola di San Pietro
E proprio la Jonian Dolphin Conservation, l’associazione tarantina fondata da Carmelo Fanizza e nata per proteggere delfini, balene e capodogli attraverso programmi di ricerca scientifica, metterà a disposizione il catamarano che porterà i sei sub non vedenti, in compagnia dello staff docenti e istruttori Manrico Volpi, Gianpaolo Colucci, Vincenzo Ladisa, Elisa Corvaglia, Petra Bianca Ferrari, Claudio D’Errico, Simone Boiocchi e Marco Dori, alla volta dell’isola di San Pietro, nel mar Grande al largo di Taranto.
«Scenderemo fino a venti metri di profondità: in una zona in cui esiste, dal tempo degli antichi romani, un’area di dispersione di materiale archeologico: si tratta di un sito di approdo, una sorta di discarica portuale, sicuramente utilizzata fino all’età medievale», spiega Giampaolo Colucci, archeologo subacqueo, che i sei allievi ritroveranno in questi cinque giorni sia in superficie che in un altro sito archeologico marino.
Scambio di esperienze
Colucci ed Angelo Raguso, responsabile per le attività subacquee della Soprintendenza archeologica delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, metteranno a punto un percorso tattile attraverso una serie di reperti archeologici selezionati, oltre alla realizzazione di una quadrettatura subacquea con reticolato da utilizzare nel fondale. Sono delle prove a secco, anteprime di tutto ciò che i sei sub andranno a toccare con mano nella baia di Saturo, a cento metri dalla linea di costa. Ma ciò che sorprende ancora oggi gli stessi istruttori sub, nel momento in cui si immergono e si confrontano con i loro allievi non vedenti, è la nuova visione delle cose. «Sì, ce lo dicono spesso e la cosa non può che farci piacere: perché, in fondo, si tratta sempre di uno scambio di esperienze tra noi, sub non vedenti, e i nostri istruttori», commenta il leccese Tonino Tramacere, uno dei sei corsisti.
«Noi, vediamo così»
Gli istruttori raccontano di essere passati dal guardare tutto molto velocemente al percepire con lentezza e più attenzione le cose. E solo grazie a loro, ai colleghi privati della vista, ma delicati nel tocco: «Sfioriamo le specie marine con molta delicatezza, con i nostri tempi, soffermandoci su tutto ciò che incontriamo sott’acqua. E’ il nostro modo di vedere», dice Elisabetta Franco, a digiuno di archeologia fino alla vigilia di questi giorni tarantini. Ma tanto, si sa, il fascino della Magna Grecia fa miracoli, da tremila anni, sulla faccia della Terra. Figuriamoci sott’acqua, dove non esistono barriere e pregiudizi.